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Mettersi alla prova sullo stile Lonely Planet

by Simona

Certi eventi sono un guanto di sfida che Facebook, impunemente, ti butta addosso inserendoli nella tua timeline personale: un guanto che, certe volte, devi proprio raccogliere (e in questo caso soprattutto se, come me, sei una copywriter, per lavoro scrivi di turismo e luoghi turistici e, per hobby, scrivi libri sulle leggende e sulle curiosità delle tue terre, tra il lago di Garda e Mantova).

L’evento in questione è stato il workshop sulla scrittura delle guide Lonely Planet che era programmato a metà luglio a Rimini in occasione della Ulisse Fest: potevo forse perdermelo? Ovviamente no, anche perché dire “Lonely Planet”, oggi, significa parlare del 50% di quota mercato nella vendita delle guide turistiche: un vero faro per i viaggiatori e per chi si occupa di scrittura di viaggi.

Tuttavia, più che parlare del workshop o appuntarne i contenuti specifici, o più che ripercorrere l’esperienza pratica di scrittura in stile Lonely Planet svolta nei due giorni a Rimini (un esercizio che ti mette alla prova anche quando sei abituata con scadenze sempre molto strette), quello a cui vorrei abbandonarmi qui sono delle considerazioni un po’ più ampie che riguardano la scrittura e per le quali questo weekend riminese mi ha ispirato.

Innanzitutto, vorrei sottolineare la bellezza di ritrovarti tra persone che scrivono, o che vogliono farlo, o che sono interessate alla scrittura: non solo è piacevole e ti fa sentire un po’ come se ti fossi chiusa in una capanna fumatoria dei nativi americani, ma ti permette di non dover fare il solito infinito spiegone sul fatto di scrivere per lavoro e in cosa consista. Di solito su questo fronte sono protetta solo fra vecchi amici (che si sono già sorbiti le spiegazioni in altre occasioni) o fra artisti (che le devono fare a loro volta e che comunque di massima sanno già cosa sia un copywriter). In ogni caso, ciò mi ha permesso di sentirmi a mio agio da subito, cosa tra l’altro indispensabile perché il tempo in questo tipo di eventi è davvero tiranno: sembra finire subito e non va sprecato, appunto, a cercare di far decifrare il tuo vissuto.

Per quanto riguarda, invece, ciò che il workshop mi ha lasciato come autrice, non posso che partire da una riflessione che mi accompagna sempre quando lavoro, ma che in questo caso ha assunto una sfumatura ancora più rilevante: quella sul destinatario delle guide e, in generale, dei testi.

Chi legge ciò che scriviamo? Chi è il destinatario di articoli o guide?

Tra le caratteristiche più importanti di questo destinatario (È un lettore? È un viaggiatore? È colui che non vedrà mai quel posto di cui parliamo, oppure che lo conosce a menadito, perché per esempio ci abita o lo frequenta da sempre?) c’è sicuramente il suo patrimonio di conoscenze e di valori culturali.

Quando la persona a cui ci rivolgiamo non è specifica, quando il pubblico che abbiamo di fronte è generico e potrebbe perciò, soggetto per soggetto, possedere conoscenze, peculiarità, sensibilità diverse, bisogna tenere conto che alcune espressioni che per alcuni potrebbero essere scontate o informazioni che daremmo per assodate forse non sono costituiscono questo zoccolo duro su cui fare affidamento nell’esporre un argomento e soprattutto nel raccontare una nostra visione su un luogo (e, partendo dai luoghi e dalle guide turistiche, potremmo applicare lo stesso concetto a qualunque altro testo).

Il destinatario da raggiungere, dunque, è sempre centrale, sia che si tratti di un gruppo specifico sia che sia rappresentato dalla persona “qualunque”. E scrivere per una persona qualunque non è così facile come potrebbe sembrare.

Certamente, da certi punti di vista è più facile scrivere per un pubblico specifico. Per esempio se dovessi preparare un testo rivolto a operatori di web marketing non mi verrebbe da specificare che cos’è il Pay per Click, né se dovessi farne uno rivolto ad agenti immobiliari parlando di caparra confirmatoria non dovrei per forza darne una definizione: lo farei invece se scrivessi un testo rivolto a tutti, o in buona parte anche a chi non è del settore, per esempio se dovessi indirizzarmi a imprenditori o a chi deve comprare casa.

Un’altra considerazione importante legata al workshop, e su cui spesso mi devo battere con i clienti (soprattutto quando si tratta di pianificare e realizzare contenuti per i social network aziendali), è stata quella che ha riguardato il linguaggio comunicativo.

Lonely Planet ne ha uno che, esempi alla mano, può assumere tratti molto coloriti: fatta salva la correttezza delle informazioni che vengono fornite (anche perché il viaggiatore ha bisogno di precisione e di potersi affidare alla guida), le descrizioni in alcuni casi non sono così incravattate come lo sono su altre pubblicazioni: anzi, riescono a sferzare il lettore e fargli comprendere in modo più visivo di cosa si sta parlando, senza mettersi in cattedra ma dialogando con lui con un linguaggio che può afferrare al volo. Questo, ovviamente, tenendo conto di quanto detto poco fa sul destinatario del testo.

I due giorni a Rimini, oltre che per mettermi alla prova nella pratica su testi per guide turistiche e per “rubare” qualche idea al leader di settore nella scrittura di viaggio, sono serviti anche per riprendere a raccontare con qualche input in più le destinazioni italiane che alcuni clienti mi hanno affidato.

Va detto infatti che, dove manca un ufficio di promozione turistica, e dove nessuno sul territorio si è mai preoccupato o occupato di spiegare perché quel luogo andrebbe visitato, un copywriter può sviluppare quei contenuti che servono a dare nuove idee e soluzioni inedite ai viaggiatori (qualcuno direbbe anche “a fare storytelling”) e, perché no, contribuire a far sì che a giovarne siano le attività locali e gli imprenditori che ci credono.

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